venerdì 6 settembre 2013

Je suis un Ironman, adieu Triathlon?

GENERAZIONI DI IRONMAN Brunello e Filippo Pagavino.
La mia wishlist sportiva ha subìto aggiustamenti e variazioni man mano che, nel corso degli anni, gli allenamenti hanno dato i loro frutti. La maratona sotto le 3 ore o la mezza entro l'ora e 15' sono state raggiunte, la 100Km anche, persino la vittoria di una delle leggendarie ultramaratone a tappe organizzate dai francesi di SDPO. Il tutto spaziando tra corse campestri, skyraces, staffette, ultratrails. Dalle parti del vertice di questa “lista dei desideri” è ben presto apparsa una gara mitica, che mi ha fatto sognare fin dall'inizio: l'Ironman.

3,8 km di nuoto, 180 in bicicletta e poi, per non farsi mancare niente, una maratona. Una nuova sfida a dir poco entusiasmante, e per me anche abbastanza mission impossible, dato che avevo abbandonato il nuoto circa 15 anni prima e che non avevo mai avuto una bici da corsa. Le mie esperienze sulle due ruote si limitavano a due lunghi viaggi sulle splendide piste ciclabili in Austria e Germania e al camino de Santiago in mountain-bike. Meglio di niente, ma 180 km “a manetta” su una bici da strada sono un'altra cosa!



Che si tratti di corsa, triathlon o qualsiasi altra disciplina, non riesco ad allenarmi “a vuoto”, trovo molto irritante non avere una gara non troppo lontana per la quale prepararmi. Così, con l'obiettivo Ironman ben in mente, ho iniziato dall'ABC del triathlon, ovvero la distanza “sprint”. 750 metri a nuoto fattibili perfino da me, 20km in bici nei quali non si fa quasi in tempo a sentire la stanchezza, e 5km di corsa a piedi, ovvero... il mio pane quotidiano!
Ho così partecipato a tre gare di questo tipo, in un crescendo di prestazioni e dando sempre meno spettacolo in Zona Cambio. Entro l'autunno ero pronto per lo step successivo: la distanza olimpica. 
Sopravvissuto dignitosamente anche a questa, mi sono iscritto senza indugio all'Anticamera del Sogno, ovvero l'Ironman 70.3. Purtroppo il mio entusiasmo mi aveva fatto trascurare un dettaglio: la regione in cui abito al momento vive attanagliata da freddo, pioggia e vento circa sei mesi all'anno, e questo ha influito molto sulle mie uscite in bici. Tutte e due.
Scherzi a parte, non mi sono preparato nemmeno lontanamente come avrei voluto, ma grazie alla location (la tropicale Puerto Rico) e alla compagnia (la caraibica Johanette), tutto è andato per il meglio e anzi mi sono divertito, concludendo i 1,9km a nuoto + 90km in bici+ 21km a piedi in un crono decisamente migliore di quanto mi aspettassi, soprattutto considerando le temperature da altoforno in cui si è svolta la gara.


Sprint, Olimpico, 70.3... uno solo mancava all'appello! I tempi erano dunque maturi per iscrivermi ad una gara del circuito Ironman e, a poco più di un anno dall'acquisto della bici e del costume da nuoto, chiudere il cerchio della Triplice. Inoltre, gli allenamenti di bici e (soprattutto) di nuoto mi risultavano sempre più insopportabili!!! Quindi, dove concludere in gloria? Ovviamente il mouse si posizionava d'istinto sui siti web dei posti più esotici, ma poi papà “Irondad” Brunello mi ha proposto di andare a Nizza, per il suo 3° Ironman, e ho accettato.
In realtà in Europa avrei preferito Regensburg o Zurigo, ma il primo non è stato organizzato per quest'anno, mentre il secondo l'ha già disputato l'Irondad l'anno scorso. 

Vada per Nizza, allora: la data è perfetta, e l'Ironman France è uno dei più famosi al mondo. 
Per la seconda volta, dimentico che l'inverno più cupo sta imperversando fuori dalla finestra, e non ha intenzione di smettere presto... e infatti non tocco la bici per almeno due mesi.


Con l'avvicinarsi della fatidica data, si susseguono una serie di eventi: un nuovo lavoro, una nuova casa, una nuova auto e... un matrimonio (si, con la caraibica Johanette di cui sopra!)

Tutte cose splendide, che però fanno passare la mia preparazione un attimino in secondo piano...

...ed è questo che penso mentre abbasso lo sguardo sui miei piedi nell'acqua, sul sassoso bagnasciuga di Nizza, compresso dentro una muta, alle prime luci dell'alba.

Fantastica la vita... e speriamo che continui per il meglio anche oggi!

In realtà penso anche altre cose: che bello essere qui con quasi tutta la mia famiglia, che figata di esperienza sto per vivere, che ragazzo fortunato che sono in generale, e anche “ma perchè sti ca**o di occhialini continuano ad allentarsi?”. Con orrore realizzo che la vaselina con la quale mi sono ricoperto il collo per evitare atroci piaghe da sfregamento è passata dalle dita all'elastico degli occhialini da nuoto, sciogliendo i nodi che lo tenevano alla giusta tensione. Praticamente rischio di perderli da un secondo all'altro, e fare di conseguenza quasi 4km di nuoto a rana! Cerco febbrilmente di ripulire l'elastico mentre tutto intorno a me inizia il countdown pre-partenza, e a pochi secondi dallo start faccio un paio di nodi e prego per un miracolo.
Segue la “tonnara” tipica di un po' tutti i triathlon in acque libere, solo che qui le botte da orbi proseguono per un paio di km. Pugni, calci, manate che sembrano espressamente indirizzate a farti saltare gli occhialini, o i denti, o tutt'e due. Ho esseri rivestiti di neoprene che nuotano sotto di me, sopra di me, tutti che annaspano nel delirio generale. Da provare almeno una volta nella vita, ma decido che mi piacciono decisamente di più le partenze scaglionate per Age Group come a San Juan. 

Di quando in quando incrociamo un triathleta che nuota convinto nella direzione opposta a tutti gli altri, per poi fermarsi di botto, guardarsi intorno e lanciarsi furiosamente in una virata a 180 gradi. Praticamente un girone dantesco liquido, forse per questo lo trovo troppo divertente.

Finalmente, esco barcollante dal Mar Mediterraneo e salto in bici (beh no, in realtà prima mi tolgo la muta), e per 30 km è un sogno: sole, aria calda che mi asciuga, e soprattutto decine e decine di sorpassi. La pacchia finisce con un “muro” di qualche centinaio di metri, dove gli sprovveduti che non hanno scalato il rapporto devono mestamente rassegnarsi a scendere dalla bici o... cadere fragorosamente, tra colorite espressioni di disappunto. Interessante come molti abbiano optato per la seconda possibilità!

Le salite e le discese si susseguono, e tutto va alla grande: continuo a guadagnare posizioni anche sulla lunghissima pendenza che porta al punto più alto del percorso, oltre i 1000 metri. Da qui inizia la discesa vera... e anche i problemi. Mentre scendo alla velocità massima che posso concedermi senza morire di paura, ovvero attorno ai 50 km/h, un concorrente mi sorpassa a velocità che mi sembra doppia. Un bolide, una scheggia, un ciclista vero... che però “piega” esageratamente  in curva, colpisce di striscio un muro e ovviamente cade mentre la sua bici, mulinando vorticosamente, tocca la ruota posteriore della mia facendomi sbandare alla grande e immaginare già quanti anni di riabilitazione mi sarebbero serviti per tornare a camminare. Per fortuna, niente di tutt questo: ho ripreso il controllo della bicicletta e ho azzardato uno sguardo indietro per vedere se lo sventurato triathleta era ancora vivo (lo era eccome, e mi ha superato di nuovo pochi secondi dopo col body sbrindellato... ma senza andare a sbattere contro i muri, stavolta).

Cose che probabilmente succedono ad ogni gara, ordinaria amministrazione di certo... ma per me era più che abbastanza: da quel momento ho frenato incessantemente per 70 km, andavo più veloce in pianura che in discesa (non scherzo).

Ormai mi superavano anche i bambini in triciclo e le nonne con la Graziella, ma io sentivo solo le sirene delle ambulanze e l'andirivieni delgi elicotteri di soccorso (e per un povero partecipante, non sono nemmeno bastati).

Mi ripetevo “Oh, qui si tratta di finire il tuo primo Ironman, non di vincerlo. Quindi...frena!”.

Come se non bastasse, continuavo ad incrociare atleti con una gomma a terra, incazzati neri (o in lacrime) e con la camera d'aria lì sull'asfalto, come un serpente prostrato (come dice IronBrun).

In breve, di bicicletta ne avevo davvero abbastanza ed è con sommo piacere che l'ho abbandonata al suo destino sulla rastrelliera, nell'interminabile Zona Cambio. 
Essendomi “riposato” per otto ore in bici, ho potuto iniziare la maratona di gran carriera, correndo i primi 10 km a poco più di 4' al km. Ovviamente ho pagato il conto nei successivi 30 km, trascinandomi sulla pur suggestiva Promenade des Anglais e guardando con cupidigia i bracciali colorati indossati da chi aveva fatto più giri di me. In realtà, dopo aver copiosamente vomitato verso il 32° km (ah, non è interessante?) , mi son detto che più correvo, prima finiva quell'agonia; così ho aumentato il ritmo e ho concluso la maratona nel migliore di modi, con agili falcate (quasi), dando il “cinque” a papà IronBrun che non era poi tanto dietro di me, e correndo gli ultimi, gloriosi 300 metri tra due ali di folla festante mano nella mano con Johanette, assaporando il suono di quelle quattro dolci parole, così desiderate, così sognate, così conquistate: “YOU ARE AN IRONMAN!!!”


E così anche questo punto della mia wishlist è stato raggiunto. Nei giorni seguenti la gara, volevo vendere bicicletta e muta al miglior offerente. Poi, pur restando dell'idea che il triathlon è uno sport troppo dipendente dal mezzo tecnico, mi son ritrovato a controllare la date di altre gare del circuito, ovviamente senza troppa altimetria nella parte ciclistica... chissà.
Per ora, la mia attenzione è tutta su un'altra highlight della mia lista, il leggendario UTMB.
E' arrivato il momento di raggranellare punti-qualificazione!!!  :) 



                                                                                                              Filippo Pagavino

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